Ne vuoi metà del mio?

per una completa comprensione di questo testo, sarebbe opportuno aver letto (o leggere subito) il pezzo intitolato ne assaggio un po’ del tuo.

Non vorrei si pensasse che ne faccio una questione di egoismo, con questa storia del “Ne assaggio un po’ del tuo”.
No, assolutamente, non lo penso affatto. Le donne non fanno volare le posate nei nostri piatti per un loro innato e spietato egoismo. No, no e poi ancora no. Lo fanno e basta, è una loro necessità, è scritto a caratteri cubitali nel loro DNA.
E a prova della totale assenza di egoismo c’è un’altra pratica, che sta all’esatto opposto. La pratica del “Ne vuoi metà del mio?”.
Bevi mezza cocacola con me? Mangi metà della fetta di torta che voglio prendere?

Loro devono mangiare le cose a metà. Poco importa se è la metà che ti stanno per rubare dal piatto o quella che vogliono importi: basta che sia la metà.

Solito ristorante, soliti attori: una coppia. Lui dice, appoggiando per bene la schiena alla sedia e rilassandosi compiaciuto della cena: “Ah, adesso mi prendo una bella fetta di torta sacher!”
La risposta può essere una delle seguenti:

Risposta A:
Lei dice: “Ottimo, e io invece mi prendo un bunet torinese”.
Probabilità: 10% (anche meno)

Risposta B:

Lei dice: “No, prendiamola insieme, dai, io non ce la faccio a mangiarne una intera”.
Probabilità: 35%

Risposta C:
Lei dice: “No, dai, mangia metà del bunet torinese che prendo io, da sola non ce la faccio a finirlo”.
Probabilità: 55%

Alla fine, non solo ti mangi una metà, ma della cosa che non nemmeno avresti preso, rinunciando alla tua.
E’ una situazione che va avanti da anni. Gli uomini restano silenti e accettano tutto questo in nome della necessità di accoppiamento, ma sarebbe opportuno intervenire. Come? La mia idea è semplice: sfruttando una ormai consolidata e vincente invenzione, quella dei menu. Siamo nell’era dei menu preimpostati e creati ad hoc. McDonald, poi l’Autogrill, poi i ristoranti, i bar, la pizzeria sotto casa e le pizzerie da asporto. Oggi non devi più passare lunghi e angoscianti minuti a scegliere: qualcuno lo ha già fatto per te e ti serve il tutto a prezzo conveniente.
E in questa esplosione di menu, nessun locale che si rispetti si è dimenticato il “menu bimbi”. McDonald ce l’ha, Burger King ce l’ha, l’Ikea ce l’ha (biologico, evidenziano, mentre per quello adulti non lo segnalano; probabilmente quello per adulti è così: ti danno una scatola e tu te lo monti).
Perché, quindi, non fare un “menu donna”, con tutte le porzioni a metà? Mezza pizza, mezzo cartoccio di patatine fritte, mezza coca, mezza torta… Non male come idea, vero? Farebbe mangiare gli uomini più rilassati, darebbe la giusta e necessaria armonia ad un pasto. Anche le ore che seguiranno saranno più felici, e una eventuale performance erotica nel prosieguo ne trarrà sicuro beneficio (anche perché, a quanto pare, è una di quelle cose che le donne non vogliono “a metà”…)

Cose mie, Uomini & Donne

La legge del fumo

Intro: Guardo dal finestrino dell’auto il passaggio di un autobus cittadino, sul quale un adesivo mi avvisa che il suddetto si muove grazie al prodigioso e mirabolante gasolio bianco. Comunque, per quanto prodigioso, non lo sarà mai come il gasolio blu che sto facendo io, qui nella stazione ecologica di benzina. Il gasolio che sto mettendo nell’auto è privo di tutto. E’ blu, e la natura mi ringrazierà. La pubblicità, su un cartellone di fronte a me, mostra questo barile di gasolio dal quale fiori nascono spontaneamente, sani e a milioni di colori, a 600 dpi, felici del carburante che li ha messi al mondo. Poi l’autobus sgasa un po’ e una nube grigia ed ecologica entra nell’abitacolo. In mezzo a tutta questa ecologia non posso fare a meno di accendermi una sigaretta ecologica, con carta e tabacco ecologici che trasformandosi in cenere andranno a formare un tuttuno con l’ambiente, disperdendosi nello stesso, e con il filtro ecologico che resterà nel mondo per un milione di anni a beneficio di archeologi e posteri vari, incuriositi dalle usanze di quelli che vivevano dieci o quindici guerre mondiali fa.

Consapevolezza: Lei abbassa il finestrino, mentre esco dalla stazione ecologica di benzina, con la sigaretta stretta tra le labbra, per evitare che il fumo le finisca in faccia, ma è inevitabile. Inevitabile.

Dura lex: Il fumo non segue mai la direzione del vento, se accanto hai un non fumatore. Il fumo volgerà il suo cammino sempre e comunque sulla faccia del malcapitato. Vano sarà il mettersi di fianco a lui, sull’altro fianco, alle sue spalle, davanti, con le mani dietro la schiena o con le mani in alto o sbuffando con la testa alta o di lato o verso il basso oppure celando la sigaretta da quattro dita oppure oppure oppure. Il fumo si dirigerà inesorabile verso il naso del non fumatore.

A volte – a casa – fumo in sala, in un angolino del divano, con la finestra spalancata. Ma il fumo non esce subito dalla stanza per dirigersi in cielo e fare amicizia con gas vari e polveri sottili. Il fumo aspetta che lei entri nella stanza, la guarda mentre si siede sul divano accanto a me, si dirige verso il suo naso, la intossica un po’, le cambia l’umore e poi se ne va, si tuffa dalla finestra e mi lascia impotente con la patata bollente tra le mani, a scusarmi imbarazzato per la puzza ambientale.

Lo fa anche in macchina. Ho i finestrini abbassati, il mio e il suo, e guido sostenuto. L’aria mi farebbe scompigliare i capelli, se ne avessi abbastanza. I tre peli che ho in testa e persino quelli del naso prendono tutti la via del finestrino. Se non fossero attaccati a me sarebbero già volati fuori… Ma il fumo no. Lui non vola fuori: si sparge nell’abitacolo, finisce tutto tra le sue chiome e le sue narici.

C’è una coda, restiamo immobili nel traffico. Vai, adesso me ne fumo una tranquillo, penso tra me e me, sorridendo sornione, pronto ad assaporare qualche tiro di veleno senza sentirmi in colpa.
Abbasso il finestrino completamente, metto il braccio fuori, appoggio la mano che tiene la sigaretta sul tetto della macchina, in alto, in alto, sempre più in alto. Ma il fumo che si libera dalla sigaretta fa un giro al contrario e si ripresenta all’interno della vettura. Esce dal mio finestrino ed entra dal suo! Intossica di nuovo, mi strema, butto la sigaretta a metà, perché – tra l’altro – la campagna antifumo mi ha convinto, mi sento un despota a fumare in faccia agli altri.

Ristorante. All’aperto. Sotto al cielo stellato, mi dico, con l’aria che ci accarezza il viso, me ne posso accendere una in tutta tranquillità. Siamo faccia a faccia. La brezza mi ha già fatto volare a terra il menu tre volte. Le folate arrivano da destra verso sinistra. Ottimo, è l’ultima cosa che penso prima di accendere la sigaretta. Faccio un bel tiro, inalo e ne traggo godimento, sbuffo il fumo curvando un po’ la testa a sinistra (per agevolare il vento che già va da quelle parti)… e il fumo le va dritto dritto in faccia. Quello uscito dal mio corpo e quello che danza fuori dalla sigaretta.

La spengo. Cedo. Mi viene l’idea per una etichetta da mettere sui pacchetti: il fumo non segue mai la direzione del vento.

Bonus track: esperimento concreto: soffiando il fumo affacciati a una finestra, il fumo rientrerà nella stanza e avvolgerà il volto del non fumatore. Se il non fumatore è in un’altra stanza, allora il fumo farà il giro di tutte le stanze fino a quando non l’avrà trovato. Se in una casa ci sono molti non fumatori, anche il fumo prodotto da una sola sigaretta è in grado di impestare tutte le stanze.

Cose mie, Uomini & Donne

Tipi di Tipi

Lo ammetto: sono un individuo piuttosto chiuso e solitario. Parlo a ruota libera (e sono persino logorroico) solo con i pochissimi amici che ho, mentre in mezzo a gente nuova tendo a stare in disparte e a muovere le labbra il meno possibile.
Non è un pregio, purtroppo. Ma è un difetto che, invero, mi dà il tempo per osservare tutte le persone che mi stanno attorno, e che si parlano e si conoscono e si raccontano di loro.
E’ un hobby che non ho nemmeno mai saputo di avere, anche se in realtà abbiamo sempre vissuto insieme, io e lui.
Mi intrippo a guardare le persone e a classificarle, per poi accorgermi che alla fine c’è un numero di categorie, per quanto grande, piuttosto ridotto. Sono raggruppabili in una serie di insiemi dei quali prendo nota. Il mio catalogo mnemonico, come una sorta di album di figurine, mese dopo mese si arricchisce. Ci sono i frequentatori di strade e mezzi su ruote, i possessori di cellulari, la gente all’ipermarket… ho catalogato di tutto un po’ e qualcuno mi ha scritto per sapere se sono davvero così poco tollerante, se davvero odio il mondo come si evince da quanto scrivo.
Ma no, certo che no. Dirò di più: per milioni di volte io stesso mi sono trovato in una delle categorie che descrivo. C’est la vie. E’ la via.
In realtà, le persone che mi stanno un po’ qui (per non scrivere sempre sul culo, sul cazzo, ché a volte un po’ di contegno non fa male) sono davvero poche.

L’altra sera, invitato ad una festa di amici di un amico, in una sorta di disco pub affittato, mentre stavo seduto in disparte, come mia consuetudine, mi sono accorto che i tipi che mi stanno antipatici erano tutti lì.

C’era IL SIMPA, per esempio. Il simpa non è simpatico, ma fa il simpatico. Quelli che fanno i simpatici sono la razza peggiore presente sulla faccia della terra. Hanno questa pessima abitudine di voler far ridere a tutti i costi e non ci riescono praticamente mai, imbarazzando te e loro. Sono patetici. Li riconosci perché fanno una battuta e poi si ammazzano dal ridere. Se gli sei vicino e mantieni – come è logico – un’espressione impassibile, te la spiegano.
Cercano in tutti i modi di tirarti nella risata, e tu ne accenni una sforzata ma si capisce che sforzi. Se sono fidanzati, sono causa di imbarazzo anche per il partner, a meno che non facciano entrambi parte della stessa razza. In questo caso, vivrai in un terrificante teatrino dell’assurdo fino a quando la scusa buona da sfoggiare salterà fuori e lascerai entrambi alla loro simpatia.

E che dire dei CONSIGLIERI? Li conosci da trenta secondi eppure hanno già un consiglio da darti. Se sei in procinto di fare qualcosa (un viaggio, una spesa, una manciata di fatti tuoi) loro l’hanno già fatto e ti spiegano subito la strada migliore, la scelta migliore, la decisione migliore.
Quella di mandarli affanculo, ma l’educazione ti frena.

L’INTENDITORE era appoggiato al bancone, dove stava chiedendo un bicchiere di Ardbeg, un whisky eccellente per il tardo pomeriggio, con un aroma pieno, di torba, lievemente di medicina.
E’ simile a un consigliere, ma più che darti consigli ha interesse nel farti sapere che lui se ne intende. Di tutto, ovviamente. Dalla più grande minchiata al segreto della vita, lui ha una discreta conoscenza, e solitamente smantella la poca che hai tu.
A volte te la demolisce anche con faccia schifata, guardandoti dall’alto in basso, oppure con un sorriso che ti concede pietà. Se cambi argomento, ne sa anche di quello, e così all’infinito.

Il FIN TROPPO ONESTO non manca mai. E’ uno che non sa ancora chi sei e ti snocciola un punto di vista che prevede l’ovvia coglioneria della fazione opposta. Nella quale potresti esserci tu. Forse perché sicuro di riconoscere sempre i suoi simili, il tizio di questa specie fa affermazioni categoriche senza sapere la categoria di appartenenza del suo interlocutore. Dice cose tipo “Quelli del G8 sono tutti dei drogati” a uno che è stato manganellato dalla polizia a Genova; “Quella ragazza è un cesso” al fidanzato della ragazza e ai suoi amici; “Gli arbitri sono tutti dei cornuti” a un arbitro e via di questo passo.
La versione professional è questo tizio che oltre a sentenziare senza sapere dove sta gettando l’immondizia ti fa anche sorrisini complici o addirittura ti dà una pacca sulla spalla, convinto che non puoi che essere della sua idea.

LA MITRAGLIA, invece, è quel tipo che dopo averti agganciato inizia a parlare e lo fa per un periodo così lungo che alla fine non solo tu non ti ricordi tutto quello che ha detto, ma non se lo ricorda più nemmeno lui.
Dopo venti minuti – senza interruzioni e senza prender fiato – di ascolto continuo, perdi proprio il senso delle parole, che si amalgamano e diventano suoni intermittenti come quelli di un telegrafo. C’è un momento nel quale arrivi ad odiarlo, ad augurargli la morte. Qui. Ora.

L’UBRIACO COLLOSO è in ogni caso quello che amo di meno. Mi spiace, anche perché io sono ubriaco il 90% delle volte in cui mi trovo a una festa, ma così come adoro quelli pacati e in pace col mondo, odio quelli che ti si appiccicano addosso e con un braccio rigorosamente sulle tue spalle per tenersi in piedi ti soffiano nelle orecchie frasi sconnesse di alito caldo e puzzolente, e ti coinvolgono nei discorsi più astrusi e spossanti… e se cerchi di defilarti si offendono pure.
Non manca la versione professional, che nell’offesa vede un affronto da lavare con il sangue, andando a creare immantinente l’immancabile siparietto del “momento di tensione”, che è un classico di ogni festa che si rispetti, come il gioco della bottiglia.

Quanto a momenti di tensione non è stato male nemmeno SCHERZETTO, che è un altro di quei tipi ai quali inietterei soda caustica nei bulbi oculari, mentre li ho di fronte.
Scherzetto se arriva da dietro ti piega le ginocchia con le sue per farti cadere, oppure ti afferra le balle (che è un grande classico). Le balle te le afferra anche da davanti (un classico non ha limiti direzionali).
Davanti, può farti anche la mossa, che dovrai ovviamente pagare in caso di spavento, oppure un altro evergreen: il pizzicotto sul capezzolo. Quest’ultimo può lasciarti lividi anche per settimane, quindi è un buon modo per farsi ricordare, se vi servisse un’idea originale per amici e/o parenti.

E per finire è arrivato FICHETTO, che è uno che ti guarda i vestiti e sembra stia pensando di pisciarci sopra, ai tuoi jeans non pulitissimi. In vacanza ci va sullo yacht, le sue scarpe costano 300 euro, è amico di due letterine di passaparola e di un calciatore, pippa la coca, ha la macchina da gran figazzo dei figazzi, il bronzo impeccabile e tu sei una merda. E questo vorrebbe fartelo capire fin dall’inizio.
Ma anche se ti schifa non si leva dai coglioni, e sta invece lì a farti una lista di quello che ha e che fa e che può avere e che può fare e di chi conosce e di chi si scopa e se il mondo avesse un buco del culo io ci starei infilando il mio pene.

Quando stavo per farcela a imboccare il cammino del rientro, mi ha blindato alla porta PAGINE GIALLE, che è un tipo inquietante che probabilmente tiene un gigantesco albero genealogico mondiale appeso alle pareti della sua cameretta.
Mi bisbiglia “Ciao, mi hanno detto che sei di Pisciacavolo, è vero?”
“Sì, perché?”
“Oh, ma allora conosci la Deborah!”.
“Bo? Deborah chi?”
“Deborah quella che ha fatto il linguistico a Pirzonate, che era in classe con la Mariella, quella di Busonello. I suoi genitori hanno una macelleria. O forse una lavanderia. La macelleria forse è dei genitori della Simonetta.”
“Guarda, io non è che conosco proprio tutti…”
“Ma il Mario? Lo conosci il Mario? Troppo forte… Abbiamo fatto ragioneria insieme, a Brinzio. C’erano lui e anche l’Alberto, di Pisciacavolo, quell’anno lì, poi l’Alberto ha smesso per andare a lavorare. Adesso che lavoro fa?”
“Ma Alberto chi?”

Regalandogli un paio di pettegolezzi freschi da aggiungere al suo who’s who del mondo intero sono riuscito a defilarmi e a raggiungere la macchina, evitando accuratamente L’AMICO MIGLIORE CHE SI POSSA AVERE.
La pensa sempre come te, ma solo quando parla con te. Se parla con un altro, la pensa come lui. Se parla di un Altro a te, ti dice che l’Altro è un coglione. Se parla di te all’Altro, gli dice che sei un coglione. Tiene il piede in tutte le scarpe possibili. E’ amico di tutti e in realtà non è amico di nessuno.

Ma almeno questo riesco ad evitarmelo. Non dovrò sapere quanto mi stima, per questa volta. Sono finalmente fuori, tra il silenzio nel quale si espande il rumore del motore acceso, Strange Days di Franco Battiato nell’autoradio e poi la strada di casa.
A casa, dove ogni cosa mi è amica, dove posso sprofondare nel divano o in una tazza di te, o mettermi davanti al computer e scrivere qualcosa.
E mentre faccio il primo tiro della prima sigaretta fumata di fronte al monitor, mi accorgo che in realtà non mi sta più sul culo nessuno.

Cose mie, Uomini & Donne

Del traffico, dei motori, dei pedoni

note: il correttore automatico di word è la più grossa minchiata che io abbia mai visto in vita mia. ciò premesso, vogliate scusarmi per le parole “mischia” e “ciglioni” che potrebbero apparirvi senza una logica nel testo. per una comprensione corretta, vanno sostituite con i vocaboli, tra l’altro più eleganti, “minchia” e “coglioni“.

Da quando vivo a Milano (o comunque ci vivo buona parte della mia vita), la mia esistenza automobilistica è minata continuamente da nuove insidie che, in quanto paesano campagnolo rozzo, nemmeno immaginavo.
In paese, se telefono a un mio amico per chiedergli dov’è e mi risponde che è al bar, gli dico “Prendo la macchina e fra due minuti sono lì”; a Milano, gli dico “Mi ripeti la via? Anche il nome, per favore, che lo metto nel navigatore satellitare. Prendo la macchina e tra un paio d’ore sono lì”.
Inoltre, nel paesino non c’è il lavaggio strade, che una sera alla settimana ti fa parcheggiare la macchina in posti così lontani che se fossi in paese, per andarci, prenderei la macchina.
E non ci sono i binari del tram. La prima volta che sono stato in macchina a Milano avrò avuto vent’anni. Sono arrivato in Via Certosa con la mia Y 10 e c’erano queste strade enormi, così giù ad accelerare da bravo cazzone (per quel che si poteva con la Y 10)… Poi appena ho beccato i binari del tram e ci sono finito dentro ho come perso il controllo del mezzo e credo di aver fatto seicento metri direttamente guidato dai binari.
Il massimo sono binari del tram abbinati al pavé: se ci finisci dentro con un litro di latte ci esci con un paio di mozzarelle.

In paese, infine, non trovare parcheggio significa doverla parcheggiare a cento metri da dove si deve andare, che è una signora distanza, per la quale l’imprecazione è più che giustificata. In città, cento metri te li sogni, e duecento sono un dono piovuto dal cielo. Ma anche trecento, quattrocento, cinquecento… e via, fino al chilometro. E la distanza diventa un problema del tutto trascurabile, rapportata al tempo per trovare quel bastardissimo spazietto vuoto. Non so quando morirò, ma di certo so come: cercando un parcheggio. L’altro giorno l’ho parcheggiata su un marciapiede per la disperazione, dopo essermi accorto che era almeno la terza volta che ripartiva il cd nell’autoradio da quando avevo iniziato a cercare.

Comunque non è il non trovare parcheggio a farmi incazzare veramente, quanto il constatare che un secondo prima ce n’era una libero e lo ha appena occupato un altro. Arrivi in queste piazze strapiene di parcheggi occupati e incroci sempre questo tizio che sta scendendo dalla macchina appena parcheggiata. Si accende una sigaretta e si incammina via godendosela. Maledetto bastardo.

E’ nel traffico, però, che si consuma inesorabile il mio sistema nervoso. In queste code infinite, ingorghi, intoppi… a qualunque ora del giorno e della notte. In paese, alle tre del pomeriggio di un giorno d’inverno, potrei uscire di casa nudo con una tromba nel culo tranquillo di non essere visto. A Milano, l’unica volta che sono riuscito ad accelerare in tangenziale erano le quattro e mezza di un martedì notte. Ma dove minchia vanno tutti?
Per non impazzire, ho cominciato a passare il tempo nel traffico osservando il mondo intorno a me e ho scoperto che i nemici di noi poveri e inermi automobilisti sono principalmente una quindicina, ben divisi fra pedoni, motorini e motorette e automobilisti.

pedoni

L’INDIFFERENTE
Passa col rosso e cammina come se niente fosse, dritto e imperturbabile, con la testa leggermente bassa, ma solo in rispetto dei suoi pensieri profondi. Non per la vergogna d’essere uno stolto, come invece apparirebbe molto più logico. Il fatto che tra un ometto rosso e l’altro ci siano delle strisce pedonali disegnate gli fa credere di camminare tra pareti trasparenti che lo ripareranno dal mondo.

SCUSATE, SONO UN COGLIONE
Fa la stessa cosa di quello sopra, ovvero passa con il rosso, ma ne è consapevole e allora con le braccia fa gesti di scuse, si ferma a metà del percorso per evidenziare le scuse, ferma metaforicamente la tua macchina con la mano e dopo dieci minuti di questa agonia ha finalmente attraversato la strada. E’ convinto che ammettere la colpa la annulli, mentre non sa che spero per tutto il tempo che dall’altra parte arrivi uno e lo travolga.

L’OCHETTA
Vede che il semaforo diventa rosso, se ne fotte e si precipita lo stesso, poi però si trova in mezzo a quattrocento macchine e allora, per lo spavento, si blocca in mezzo alle strisce, fermando il traffico per mezz’ora, guardando spaesata e buttando gli occhi ovunque, con la tipica espressione che annuncia uno stridulo “ma io…”.

IL FICONE
Lo sa che è rosso, ma se ne sbatte i coglioni, lui. Sta camminando mano nella mano con la sua donna e deve dimostrarle continuamente la sua forza e il suo disprezzo del pericolo. Ma, a ben pensarci, quale pericolo? Chiunque, infatti, vedendolo precipitarsi ad attraversare col rosso, ma con quella sua bella faccia da cazzo che mostra il grugno duro al dio Ra e il petto da tacchino alla città, si fermerà immantinente per lasciarlo camminare tra inchini e cappelli levati.

LA FICONA
Lei passa, tanto è figa. Cazzo gliene frega? Anzi, i maschietti potrebbero cogliere la palla al balzo per dedicarsi a una pratica onanistica, mentre osservano il suo passaggio. Stangona, tette sode, cosce al vento, lei passa dritta e sicura del suo successo nei confronti del pubblico automobilistico maschile. Le donne dovrebbero ammutolirsi, fermarsi e ringraziarla per questi cinque minuti di rivalsa femminile nella fallocrazia stradale, invece.

LA VECCHIETTA
Fatta del “rispetto per gli anziani” una bandiera, se l’è messa a mantello e con tutte le regole ci si è candidamente forbita il culo. Il semaforo resta materia da giovani, questi drogati capelloni che vanno in giro con sciacquette mezze nude. Per lei, ormai è tempo di vendetta. Se c’è il verde tanto meglio, sennò si passa lo stesso, con quel visino un po’ triste e un po’ allegro. Triste perché gli anni passano, allegro perché finalmente può fare il cazzo che le pare.

FERMI TUTTI, PASSO IO!
Quello che si mette in mezzo alla strada e con la mano ferma le macchine perché sta passando lui. Manco fosse Batman che sta andando a sventare una rapina. Tra questi, ci sono anche un po’ di ficoni, quando proprio sono al massimo della forma.

QUELLO CHE MENA
Già per il fatto che i vostri occhi si sono incrociati, sta pensando seriamente di trascinarti giù dalla macchina e spaccarti la faccia. E questo per cominciare. Ora, se lo lasci passare con il rosso fermandoti senza inchiodare (se no si gira, ti prende a pugni il cofano e ti urla “Calma, ma non lo vedi che ci sono le strisce?”) e accendendoti una sigaretta soddisfatto (si deve proprio capire che stai pensando “Oh, finalmente mi posso fermare e accendermi questa agognata sigaretta”), questi se ne andrà felice. Ma se inchiodi, imprechi e, madre di tutti gli errori, suoni… in questo caso l’epilogo oscillerà tra la mezz’ora più brutta della tua vita ai cinque giorni di ospedale.

moto e motorini:

007 IN MISSIONE
Zigzaga tra le macchine a tutta birra, ti passa a un centimetro dallo specchietto e a tre millimetri dal cofano un secondo dopo. E’ come avere una mosca nell’abitacolo. Qui invece è una vespa, fuori dall’abitacolo. Non sai più dove cazzo guardare e alla fine, stremato, ti metti in un angolino e speri che ce la faccia a passare e sparisca per sempre dalla tua vita.

L’INCREDIBILE HULK
Ha una graziella a motore, ma sta a centro corsia come se avesse un TIR. Dritto/a e imperturbabile, il/la motociclista ha occhi solo per strada e orecchie ben tappate, quindi né abbaglianti né strombazzate lo/la faranno spostare. Il giusto sta nel mezzo, ed è lì che rimarrà, con voi dietro a sfogliare giornali o a cuocere crepes. Nella versione “Le meraviglie della natura”, a guidare la motoretta sarà una fanciulla con le orecchie di pelo appiccicate al casco (che a quanto pare è la bazza del momento), che faranno sembrare il tutto ancora più una presa per il culo.

IL FIGLIO DI TOGNI
Ti si accosta al semaforo e al verde sfreccia con un’impennata che ti lascia immerso in una nuvola di fumo, per poi partire tossendo e ritrovartelo davanti che sta ancora sfoggiando la sua penna, mentre speri di non dover spiegare alla polizia come mai ti è finito sul cofano.

automobili:

MI METTO IN SECONDA CORSIA CHE E’ VUOTA
A quindici/venti all’ora, con una bella sigarettina di quelle fini da fumare in santa pace, con dietro una coda che nemmeno al funerale della regina madre… Questi amano andar piano e tranquilli – ed è giusto così – però preferiscono farlo nella corsia di quelli che vanno un po’ più veloci. Mica per dispetto, tra l’altro. No, anzi… se uno dietro lampeggia o suona si offendono anche un po’.

L’INDECISO
Parente dei sopra menzionati, in preda a una grande indecisione resta al centro delle due corsie (nelle autostrade, i più bravi riescono a stare al centro di tre corsie). Fargli notare la cosa lo manderebbe inutilmente in panico. Non solo resterebbe al centro, ma rallenterebbe in preda a dubbi e timori sul perché dei vostri segnali.

SPECIAL COMBO: I GEMELLI SIAMESI
Strada a due corsie. Nella corsia lenta c’è uno lento, e in quella di sorpasso un coglione lento anche lui. Tu stai dietro, e non passi più. Non passi più, maledizione! E attraverso i loro lunotti vedi che davanti a te c’è una strada completamente vuota, che la distanza temporale tra te e la meta potrebbe essere di un solo minuto. Invece devi stare dietro a questi meledetti stronzi affiancati.

IL FRATELLO DI SCHUMAKER
Ti sta appiccicato al culo e ogni tanto accelera anche, per farti capire che lui è uno che va e non ha tempo da perdere. Il fatto che tu possa avere davanti un tram, una coda di quaranta macchine o un gruppetto di bambini che sta attraversando le strisce è irrilevante. Lo sa, ma non può tenere per se il suo nervosismo. Te lo deve comunicare a due tre centimetri dal culo.

LE FRECCE LE USANO GLI INDIANI
Frecce? No, grazie. Con questo motto, i cazzoni girano mentre li stai sorpassando, si inchioda tutti in allegria e ci si pianta in un casino di macchine che ti passano a destra e a sinistra, tutti e due immobili come dei cretini, ad aspettare lui il rosso di qualcuno per sgattaiolare via, e tu che lui sgattaioli per levarti dalle balle.

ANDALE ANDALE, ARIBA ARIBA!
Con questo grido alla Speedy Gonzales si immette su una strada principale uscendo da una strada secondaria mentre tu stai arrivando a 180 all’ora. Esce scattante, come se avesse una premura bestiale… e poi si piazza davanti a te a 30 all’ora. E tu impazzisci.

LA CALMA E’ LA VIRTU’ DEI FORTI
C’è sempre qualcuno che va sulle statali a 15 all’ora, e gli arrivi a culo proprio mentre dall’altra parte stanno arrivando due funerali, un matrimonio e un’altra ventina di macchine. E tu gli resti dietro e impazzisci. Non puoi sorpassarlo. Lui è lento, quasi immobile. E ogni tanto frena. Così, senza un motivo apparente. Vedi i fari rossi degli stop che gli si illuminano e non capisci il perché.
E pensi: “Ma cosa cazzo frena?”
E urli: “Ma cosa cazzo freni?!”

Tra l’altro, c’è una regola alla quale non si scappa: se sei dietro a una macchina che va a 15 all’ora in una strada tutta curve, deserta… appena appare un rettilineo nel quale sorpassare si materializzano trenta macchine che arrivano dall’altro senso. Ma non solo macchine: camion, moto, trattori, carrarmati…
Poi ancora 30 km di strada tutta curve a gomito con visibilità zero e completamente deserta, poi rettilineo con macchine, autobus e giro d’Italia dall’altro senso, ancora curve a gomito su strada deserta… e via così, a oltranza.

SCHERZETTO!
Mi metto davanti a te nella fila di destra però devo andare a sinistra, eh eh.

Cose mie, Uomini & Donne

Ne assaggio un po’ del tuo

A volte, le donne fanno e/o dicono cose che mi incattiviscono. Le amo, le adoro, le osservo estasiato per come in loro il mondo prende un aspetto gentile e leggero e armonico, ma questo non cancella la terribile verita’: fanno cose per le quali le impalerei.

La peggiore, in assoluto, è la loro necessità di accontentare il palato pur essendosi votate a una vita di sacrifici dietetici. Il loro bisogno di sedare la gola senza per questo sentirsi peccatrici. Come? Assaggiando. Vivendo ai margini del piatto maschile e assaltandolo di quando in quando con incursioni veloci e drammatiche, devastanti, inaccettabili.
Un esempio. Un interno di un ristorante qualunque in un punto qualunque dell’occidente. L’uomo, al termine di un pasto appagante, ordina il dolce più buono del mondo, proiettandosi immagini dello stesso nella sua mente semplice, pregustando creme o sfoglie o frutti o zuccheri o. Guarda la sua compagna con un sorriso, le chiede se anche lei prende qualcosa… e la risposta è sempre, o quasi, la solita: “No, semmai ne assaggio un po’ del tuo”.
Lui non si scompone, continua a mostrare il sorriso suadente, le dice “Certo, volentieri” e nello stesso instante pensa: Ma cristo santo! Cazzo! Ma perché? E’ il dolce più buono del mondo, ho mangiato per un’ora pensando a questo momento, immaginando il sapore delle creme sulla mia lingua… e tu devi rubare impunemente alcuni momenti di gioia dalla mia vita? Bastarda maledetta!

Dolci buonissimi e piccoli, minuscoli, che si perdono in grandi piatti da nouvelle couisine. Cinque forchettate ben messe, o una decina, se opti per dosi mignon che daranno vita all’illusione di un piacere più duraturo… Già non ti basta la tua porzione… E devi darne un po’ a lei. Cazzo! Io non glielo voglio negare. Ma dico: prendine una porzione e avanzala. Avanzala, non fa niente, butto via dei soldi, quanti se ne buttano, ma almeno mi godo questo sottile piacere della vita! Macché…
Lo mangi vivendotelo male. Malissimo. Perché non sai quando il rapace attaccherà. Puoi solo limitarti a guardarla, sorridente, appostata davanti al tuo piatto con la forchetta che le gira tra le dita come un bastone da majorette. Parla come se nulla fosse, sorride, ti racconta aneddoti della sua vita. E mentre quasi ti sei dimenticato della sua dichiarazione di guerra, mentre ti perdi in un suo racconto e nelle parole che le escono di bocca e volano in alto passandole tra i capelli ZAC! La forchetta è passata nel tuo piatto ed è già in direzione della sua bocca con un pezzo del dolce più buono del mondo.

Se l’uomo la conosce da tempo, se già si aggira per casa nudo, lasciando mutande ad ogni angolo come fossero bandiere e ha eretto almeno una volta un fortino di rotoli di cartigienica vuoti, allora potrà ricorrere al trucco della fretta che fa dimenticar. Mangerà tutto in velocità (ma comunque il piacere sarà irrimediabilmente inquinato da questa furia) e alla fine la guarderà desolato e affranto dicendole: “Oh miodio! O maledizione! Scusami, perdonami, l’ho mangiato tutto e me ne sono scordato… ne ordino un altro…”.
Lei lo odierà. Certo, che lo odierà. Ma non dirà nulla e balbetterà un “Fa niente…” ingoiando alcuni litri di bile.
Se invece la confidenza è purtroppo ai minimi, se il livello di conoscenza deve ancora impennarsi o se addirittura si è alle prime uscite, ai test che potrebbero compromettere senza appelli questa crescita di livello… bé, non ci saranno trucchi utili. Loro, le donne, controllano tutte queste piccolezze. Gli uomini giudicano e valutano l’altro sesso per aspetti più profondi e complessi (belle tette, gran culo…) ma loro no; loro osservano i dettagli, i più invisibili, alcuni dei quali del tutto sconosciuti agli uomini (per esempio, lo sapevate che alle donne disturba se alla domenica, mentre vengono condotte in passeggio su un lungo lago, il loro compagno passa tutto il tempo con una radio che trasmette partite di calcio attaccatta all’orecchio? E avreste mai detto che sono felici se qualcuno le aiuta a lavare i piatti?). Certo un uomo ai primi appuntamenti non vorrà distruggere un futuro amore per degli stupidi dettagli. Dovrà fingere il sorriso, dovrà dirle “Certo, volentieri, assaggia pure un po’ del mio”.

Come in tutti i dolci che si rispettino, c’è una parte buona e una meno buona. Se l’uomo si trovasse tranquillo e solitario tra le pareti domestiche, La logica gli direbbe di mangiare prima la parte meno buona (per esempio la crosta se è una crostata) e poi godersi la migliore in poche ma favolose forchettate, in un piacere così totale che cancella per un minuto tutti gli orgasmi che ha avuto.
Ma al tavolo del primo appuntamento non si può. Qui c’è l’incognita: lei. Bastardissima creatura senza cuore che appare distratta e dimentica, ma che invero ricorda tutto. L’uomo mangia questo dolce preso dal panico. Quando colpirà? Quando attaccherà? Adesso, subito, portandosi via brandelli della parte più buona, oppure dopo, dividendo con me l’ingrato compito di mangiarsi anche la crosta?
Di solito, per uscire da questa situazione, l’uomo le ricorda il fattaccio. “Prendine pure un po’…”, porgendole il piatto. Se va bene, lei si prenderà i due pezzi migliori, ma almeno l’agonia sarà finita. L’uomo mangerà quello che rimane nel piatto in una mesta tranquillità.
Se va male, lei risponderà la seconda frase peggiore dopo “ne assaggio un po’ del tuo”: “No no, grazie, avanzamene un po’”.
L’uomo è allo stremo. Un po’?! Che cos’è “un po’”? Quantificami “un po’”. Quanto le avanzo, e che cosa le avanzo? Mica le posso dare la crosta. No, porca merda schifosa, la crosta me la mangerò io, e a lei dovrò dare la parte buona, per giunta un bel pezzetto, mica posso fare la figura del pidocchioso del cazzo.

La terza versione è un insieme delle due precedenti, ma mossa da un’incognita costante, e vede lei che all’improvviso, come un felino, fa volare la sua forchetta (o il cucchiaio, dipende dal dolce) nel piatto dell’uomo, portandosi via un bel pezzo, magari quello che lui aveva evitato di mangiare per gustarlo alla fine. E continua tranquilla e beata in questa sua tortura, afferando ogni pochi istanti un altro dei pezzi migliori, fino a mangiarseli tutti. Tutti i pezzi migliori.
L’uomo continua a sorridere, i suoi pensieri continuano a non seguire la linea delle labbra. Ho sognato quel dolce. Sono venuto in questo locale proprio per quel dolce. Io me lo sono ordinato e lo pagherò io. Tu non l’hai voluto. Cazzo, potevi prenderlo e non l’hai voluto. E ti sei mangiata il mio, brutta puttana.

Un solo pensiero galleggia nella mente dell’uomo, uscito dal ristorante dopo aver pagato la cena e i brandelli di dolce. Un solo pensiero si conficca nel suo cranio senza lasciarlo. Un solo pensiero, il solito: speriamo che almeno me la dia.

FINE (?)

Bonus Tracks: Alcuni esempi: di seguito, alcuni esempi di gioie rubate. Divertitevi a trovarne di nuovi, per passare una serata all’insegna dell’allegria, in alternativa al solito spinello di droga leggera.

1) Compri un cornetto algida all’amarena. Quello che nella foto ha una pianta di amarene infilata in una nuvola morbida di gelato cremoso e quando lo apri e togli il coperchietto di cartone trovi un gelato di granito e una mezza amarena affogata in un suo stesso sputo.
L’hai comprato in funzione di due cose soltanto: l’amarena merdosa in punta e il pimpirillino finale del cornetto, nel quale c’è quel milligrammo di cioccolato duro e squisito. Lei (o anche un tuo amico che però potrai – almeno – mandare cordialmente a farsi sodomizzare) mangerà quelle due cose.

2) Apri un saccottino del mulino bianco. Nella foto sulla confezione c’è questo saccottino aperto dal quale cola circa mezzo chilo di marmellata. Non è stato aperto, pensi, si è spezzato in due dalla pressione lavica della marmellata. Dentro c’è una fototessara di marmellata. Un c’era una volta della marmellata. Il suo ricordo.
Devi mangiare il saccottino da tutti e quattro i suoi lati, un pezzo alla volta, impastandoti la bocca e ingurgitando litri d’acqua perché un pastone di farine asciutte non calcifichi tra le tue mandibole e immaginando l’ultimo millimetro, l’ultimo agognato millimetro quadrato nel quale ti aspetta una pellicola di marmellata che ti si scioglierà tra le labbra e quando finalmente ci arrivi, quando hai quel dannato francobollo tra le dita, arriva lei e se lo mangia, sorridendoti e succhiandosi il dito. L’indice, e tu trattieni il medio.

3) L’ultimo boccone, e questo vale per tutte le cose. Mangi con relativa velocità dividendo mentalmente tutti i bocconi che sono a tua disposizione, godendoteli con un leggero anticipo. Ogni morso di panino, ogni forchettata di pasta, ogni pezzetto di bistecca preannuncia quello che seguirà. Ma al penultimo boccone lei ti mangerà l’ultimo, lasciandoti totalmente spiazzato, come in un coito interrotto.

Cose mie, Uomini & Donne